Carneade chi era costui? è la domanda che, nell’ottavo capitolo dei “Promessi Sposi” don Abbondio si pone (“ruminava tra sé”) a proposito del filosofo greco Carneade, la cui citazione è contenuta nel panegirico in onore di San Carlo Borromeo che Alessandro Manzoni fa leggere al curato.
Da qui il detto rimasto a significare una persona priva di fama, mai sentita nominare, di poco conto.
Tutta questa premessa per parlare di chi? del ex avvocato, Conte? dell’ex Presidente, Conte? dell’ex Amico di Putin, Conte? dell’Ex amico di Trump, Conte?
Si di “Giuseppi Conte”.
“Mi hanno telefonato e mi hanno chiesto la disponibilità a farmi nominare come membro dell’organo di autogoverno della Giustizia amministrativa. Io per onestà intellettuale dissi che non li avevo votati e che non ero un simpatizzante”
Con questa frase si presenta al popolo italiano la prima volta . Era fine febbraio 2018, sembra una vita fa, fu lanciato da Luigi Di Maio come tecnico in qualità di ministro della Pubblica amministrazione di un eventuale futuro governo 5 stelle.
“Dobbiamo combattere l’ipertrofia normativa”, disse quel giorno, “contrastare l’ignoranza coatta che avvantaggia i disonesti e puntare sulla meritocrazia”.
E su questa presentazione e con qualche ricatto notturno l’avvocato del popolo si trovò a guidare un paese.
Nonostante sia passato qualche anno ce li ricordiamo ancora molto bene tutti gli errori, direi quasi l’onta, dei governi giallo verdi o rossi che ci hanno tristemente trasformati nella “Repubblica degli annunci”. E poi è cominciata l’era della pandemia.
Portano tutti la firma di Conte le sperimentazioni contro la avanzata del virus: le zone rosse annunciate nottetempo e le roccambolosche fughe sui treni, le autocertificazioni che cambiavano ogni due giorni, le chiusure assurde, la conta degli invitati sotto le festività natalizie e l’indimenticabile tavola schema dei “congiunti”.
La lista è sterminata. Se dovessimo poi estenderla ai decreti cha avrebbero dovuto essere fatti ma che per mancanza di coraggio sono saltati e alle numerosissime ordinanze firmate dai suoi ministri, non la finiremmo davvero più.
Fortunatamente per tutti noi a due Conte si è fermato e il Conte-ter è tramontato ancor prima di sorgere.
Con il fallimento dell’operazione “responsabili” (o “costruttori” che dir si voglia) abbiamo assistito ad un riscatto della politica e dei politici. Si qualcuno lo ha fatto per non andare a casa ma la maggioranza lo ha fatto per le condizioni in cui era il paese.
Le dimissioni, motivate da una serie di ragioni dei componenti al governo di Italia Viva ha di fatto accelerato le dimissioni del governo Conte II.
Conte ha pagato la sua presunzione di intoccabilità. La pandemia ne ha esaltato la centralità, la fabbrica del consenso mediatico e social guidata da Rocco Casalino ne ha valorizzato più volte la presenza scenica, specie in occasione delle fasi più critiche dell’emergenza e dell’emanazione dei nuovi Dpcm, facendo passare agli occhi dell’opinione pubblica l’impressione che Conte fosse lo statista imprescindibile per la salvezza del Paese.
Conte ha pagato lo sgraziato protagonismo con cui ha voluto personalizzare la gestione di dossier cruciali per il sistema-Paese. Trovandosi nella delicata situazione di essere una figura depositaria di un forte consenso personale ma priva di un partito alle sue spalle Conte ha provato a saldare il suo consenso nelle burocrazie strategiche, prima fra tutti quella dell’intelligence che ha presidiato con suoi fedelissimi fino al punto da portare la maggioranza giallorossa alla rivolta esplicita contro il suo rifiuto a cedere le deleghe per il coordinamento dei servizi.
Al tempo stesso, c’è un errore di Conte e dei partiti maggiori che ne sostengono il governo, Pd e Movimento Cinque Stelle. Da un lato contenti di trovare in una figura “terza” un punto di sintesi di una complessa alleanza e di evitare a un proprio uomo le responsabilità dell’amministrazione nell’ora più buia della storia recente del Paese, ma dall’altro privi della necessaria forza politica per dettare tempi e ritmi all’agenda politica.
E di conseguenza costretti a focalizzarsi sull’operato personale dei singoli ministri o a seguire i condizionamenti legati ai ritmi dettati al governo dal presidente del Consiglio.
Che a lungo è riuscito a tenere assieme l’impossibile, facendo passare agli occhi dei pentastellati il via libera alla riforma del Mes, difendendo politiche come il reddito di cittadinanza e facendo digerire ai dem il giacobinismo giustizialista incarnato dell’allora ministro della Giustizia pentastellato Alfonso Bonafede.
Rifiutare l’idea di fare un’agenda di governo di lungo periodo è stato l’errore di Conte e dei partiti. Il M5S e il Pd hanno pagato duramente quest’errore.
Perché, in sostanza, l’avvocato ha voluto diventare dominus dell’esecutivo, travalicare i confini delle sue prerogative di premier e si è sentito di avere più forza politica di quanta gliene avesse data le forze terze a Palazzo Chigi?
In sostanza perché Conte si è ritenuto rafforzato di fronte a partiti e ministri dal pensiero secondo cui le dinamiche internazionali lo avevano reso il referente dell’Italia agli occhi delle cancellerie internazionali.
Conte aveva costruito una fitta rete di alleanze e amicizie con i grandi della Terra: da Angela Merkel a Donald Trump, da Vladimir Putin a Papa Francesco.
Conte, però, ha sbagliato sempre la gestione della fase di crisi.
Ed è ancora impresso nella nostra memoria il banchetto da pescivendolo fuori da Palazzo Chigi.
Il momento più umiliante delle istituzioni italiane.
Ma anche quella della leadership del “suo movimento”.
Un durissimo colpo per i grillini ormai da mesi in balia di uno tsunami politico che vede l’avvocato del popolo ormai in guerra aperta con Luigi Di Maio.
“La mia leadership non dipende dalle carte bollate”, ha commentato l’azzeccagarbugli di manzoniana memoria dopo che i giudici partenopei gli hanno portato via la carica.
Ma Beppe Grillo lo ha subito rimesso in riga: “Le sentenze si rispettano”.
Si consuma così l’ultima beffa di un partito profondamente giustizialista che ha fatto la propria fortuna a suon di “vaffa” e di persecuzioni manettare e che si trovato a doversi inchinare ad un cavillo giuridico che lo inchioda al suo stesso errore: aver scritto con i piedi le regole del gioco.
Non vorrei parlare dell’amicizie pericolose o strambe che si sono avvicendate durante questa presenza mitologica a Palazzo Chigi: Gennaro Vecchione a capo dei servizi segreti a sua insaputa, Marco Mancini libero di scorrazzare tra i palazzi della politica, Domenico Arcuri a disegnare margherite e banchi a rotelle e ad accumulare incarichi buoni per tutte le stagioni.
Per non parlare della difesa dei nostri confini o segreti.
I russi che entrano in Italia durante la prima fase della pandemia con il permesso speciale di Conte 106 uomini e donne russe arrivano in Italia c’erano pochissimi medici con esperienza clinica, ma molti specialisti nel campo delle ricerche su vaccini, terapie e piani epidemiologici. Un segnale del fatto che lo scopo finale della missione era acquisire dati e non si trattava di semplice generosità.
La visita di Ferragosto nel 2019 quando il direttore del Dis, su indicazione di Conte, nell’assoluta inconsapevolezza degli organi di controllo e di un governo varca l’ingresso dell’ambasciata Usa di via Veneto con al seguito funzionari del nostro Servizio. Quel giorno Conte si sta infilando in un pasticcio di cui probabilmente non comprende neppure la portata.
Dobbiamo renderci conto di cosa abbiamo passato e che i populisti come Conte portano danni a medio e lungo termine seppur lontani dal potere. Mi fa piacere che anche il partito di Letta, con il segretario ancora tentennante, sta facendo i conti con la realtà ed ha capito che dell’avvocato del popolo non ci si può fidare.
Ora noi gli auguriamo, a Conte, una grande e splendida vita professionale e privata ma lontano dalle istituzioni per il suo bene e principalmente per il bene dell’Italia.